Il popolo del calcio non misura il tempo in anni, mesi, settimane o giorni, ma in stagioni.
Il popolo del calcio inizia l’anno sognando sotto l’ombrellone, fantasticando sulla squadra che verrà, salutando con malinconia il campione che se ne va e applaudendo con curiosità il nuovo beniamino.
Il popolo del calcio vive le lunghe giornate dove il sole nasce presto e muore tardi con la bramosa attesa di conoscere le nuove divise; il popolo del calcio segue le amichevoli precampionato con la stessa tensione di una partita che regala punti, e vive con grande pathos perfino il sorteggio del calendario.
Quel popolo che ama così tanto il calcio fa sacrifici per sottoscrivere un abbonamento, e gelosamente custodisce quasi come un cimelio quella tessera che testimonia la passione e l’amore per qualcosa che viene vissuto con un profondo senso di appartenenza.
Immagina di poter usufruire dell’abbonamento sottoscritto potendo passare ore di svago con amici o con la famiglia.
Ma il popolo del calcio ormai è l’ultima ruota del carro: tradito, sbeffeggiato, illuso e deriso.
Resta uno zoccolo duro che vive il calcio con quel romantico attaccamento che le nuove generazioni forse neanche sanno cosa significa.
E ogni anno “il popolo del calcio” viene colpito al cuore, con scelte sempre più distanti dalle logiche che vorrebbero i tifosi sugli spalti attori principali al pari dei protagonisti in campo.
Quando quella parte di quel popolo che vive il calcio come un romanzo fiabesco si sarà dissolta, del calcio non resterà che una straordinaria vetrina vuota.
Il popolo del calcio misura il tempo in stagioni, e ogni stagione il calcio perde sempre più parte del popolo che lo ama.
Mentre gli spalti si svuotano, e quel popolo si disinnamora, voi continuate a dire che è solo colpa degli stadi obsoleti, e che “la pirateria uccide il calcio”.