Ho fatto spesso ricorso ai numeri per cercare di analizzare con lucidità e obiettività, senza dimenticare che poi ovvio i numeri vanno saputi interpretare.
Il primo dato è eloquente: l’Empoli ha chiuso il 2023 con ben diciotto partite in cui non è riuscito a segnare, praticamente equamente divise tra questa stagione e quella scorsa.
Il problema probabilmente parte da lontano: dal 2012 al 2022 il club azzurro ha perseguito una filosofia votata al gioco offensivo, e nell’arco di dieci stagioni, oltre a tecnici propensi all’occupazione della metà campo altrui, offensivi e con la tendenza del pallino del gioco in mano, da Empoli sono transitati calciatori dal profilo altamente tecnico, taluni anche con un intelligenza di lettura delle partite di eccelsa qualità. Caratteristica, quest’ultima, che in Serie A può fare la differenza.
Con l’estate 2022 il club ha tentato qualcosa di diverso: un gioco più speculativo che ha portato risultati, talvolta con merito collettivo, altre volte con un singolo che ha permesso di raccogliere alcune vittorie di misura fondamentali nel raggiungimento dell’obiettivo finale.
Così facendo però si è interrotto un percorso decennale in cui adesso l’Empoli non si ritrova: per caratteristiche tecniche, e per filosofia ambientale.
Il ritorno di Andreazzoli è stato letto troppo banalmente nella frase “ricerca del bel gioco”, ma non è proprio così semplice: dentro è contenuta quella filosofia con cui l’Empoli ha saputo fare la differenza nei dieci anni precedenti, da Sarri a Andreazzoli, passando per Giampaolo e Dionisi, e Vivarini (poi spiego perché ci inserisco anche l’attuale tecnico del Catanzaro, ndr).
Poi il ritorno di Aurelio, con una differenza: il tecnico si è ritrovato alla guida di un gruppo con caratteristiche “ibride”, dove tra infortuni (che poi qui si dovrebbe aprire un capitolo a parte sul perché…), un ambiente un po’ scarico e carenze di organico ha provato ha ottenere il massimo, riprendendo quella filosofia tanto fortunata nel decennio rammentato precedentemente. Con una differenza: il primo Aurelio ereditò da Vivarini un Empoli già mentalmente offensivo (ecco perché ho rammentato Vivarini), tecnicamente di alto livello, a cui bastarono due-tre mosse, e la vittoria di Perugia alla vigilia di Capodanno “accese i botti”; oggi il “quinto” Aurelio ha saputo rendere la squadra produttiva, ma è priva di quei terminali offensivi capaci di mettere a frutto la mole di lavoro, e per giunta priva di quell’uomo in grado di leggere le situazioni e far girare il rombo di mediana (un po’ come quando Aurelio secondo si ritrovò senza Zajc): avete presente tutti quei fuorigioco per cui l’Empoli primeggia in questa speciale classifica?
Sono sempre i numeri a dirlo: primeggiamo in fuorigioco, ma abbiamo segnato dieci gol in diciannove partite, di cui cinque di questi in due gare tra Fiorentina e Sassuolo; ciò significa che l’Empoli ha segnato cinque gol su diciassette incontri.
Ergo che determinate valutazioni siano state completamente fallate la scorsa estate in sede di calciomercato: perché Destro era una scommessa troppo enorme, e Shpendi non propriamente una punta centrale (nel Cesena lo scorso anno era la spalla ideale di Corazza).
L’Empoli chiude il girone d’andata penultimo, con tredici punti, e già nelle prossime due partite, con il calciomercato apertissimo, si gioca una fetta di futuro importante.
Mi aggrappo alla storia, e lo faccio ricordando la stagione 1997/98: quando in una situazione quasi simile, a gennaio, ci davano per spacciati. Un giovane Spalletti in panchina, e un ambiente con una voglia matta di “spaccare tutto”, sportivamente parlando.
Mi aggrappo poi all’esperienza: di un club che da un quarto di secolo ha dimostrato di saper far calcio, e che certo non vorrà fallire un altro calciomercato e un’occasione unica come quella classifica “corta” ci sta offrendo.